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Educazione e addestramento dei cani: la punizione

Gli umani hanno aspettative nei confronti dei cani, la principale è che debbano essere e comportarsi come vogliono loro e spesso il modello di riferimento che hanno è un modello idealizzato che non ha nulla a che vedere con la realtà.

Il cane diverso (perchè ha effettivi problemi comportamentali o perchè ha comportamenti considerati problematici o semplicemente perchè non è come gli umani lo vorrebbero) è da ‘mettere a posto’.

Tre posizioni diverse

Nell’immaginario collettivo, ‘mettere a posto’ e portare il cane ad essere come lo vogliono gli umani vuol dire educare. E’ un grosso equivoco perchè educare vuol dire preparare il cane alla vita, vuol dire incanalare competenze e rendere l’animale capace di condividere piacevolmente la vita con gli umani; non vuol dire cambiare il cane nè forzarlo a conformarlo alla volontà umana.

Un errore altrettanto importante è pensare che al cane non si debba mai dire di no perchè il no è una forma di violenza e di abuso.

In mezzo, Aristotele ci direbbe, c’è la virtù; noi diciamo che c’è chi crede che i cani debbano essere educati nel senso di preparati a vivere serenamente e compiutamente nel mondo umano in cui sono inseriti e ritiene che il no nella relazione con il cane debba esistere perchè fa parte del dialogo che è alla base di una buona relazione (sia tra umani sia tra cani e umani). Questo no del dialogo ha una caratteristica fondamentale: è bidirezionale; lo usano gli umani quando il cane fa qualcosa che non va bene e deve poterlo usare il cane di fronte a richieste a cui non si sente di rispondere. In questa visione il no non è nè l’unica parola da usare con il cane nè è una parola maledetta; è semplicemente una delle parole dell’ampio vocabolario della comunicazione umano-canina.

Oltre il no: la punizione

La versione non verbale del no è la punizione e qui le cose si complicano perchè la punizione non è quello che si pensa. O meglio, non è solo quello che si pensa.

La definizione comune di punizione è: ‘Castigo inflitto a chi ha commesso una trasgressione o dimostrato cattiva condotta, allo scopo di correggerlo’ (questa è della Treccani ma altre sono equivalenti) ma in realtà è superficiale e semplicistica.

Raymond Miltenberger, professore nel department of Child and Family Studies e Director of the Applied Behavior Analysis programs alla University of South Florida negli USA sviluppa il concetto di punizione su tre parti:

  • C’è un comportamento
  • Una conseguenza segue immediatamente quel comportamento
  • Come risultato, quel comportamento è meno probabile che si ripresenti nel futuro (= il comportamento è indebolito).

Non c’è alcun riferimento a castigo o correzione.

Inoltre, nelle scienze comportamentali ci sono due macrocategorie di punizione:

  • La punizione negativa in cui qualcosa di desiderato non è concesso dopo un comportamento. La conseguenza sul comportamento è che si indebolisce fino a scomparire
  • La punizione positiva in cui qualcosa di doloroso o che fa paura è inflitto dopo un comportamento. La conseguenza sul comportamento è che diventa meno frequente.

La punizione negativa

Si legge il termine negativo e si pensa a qualcosa di brutto. Nel caso della punizione invece negativo ha una connotazione alla fine non negativa (il concetto un po’ astruso dovrebbe chiarirsi andando avanti) perchè la punizione negativa ha caratteristiche naturali, non ha alcuna forma di violenza e capita di metterla in atto anche senza rendersene conto e senza volere.

In qualche modo si potrebbe, semplificando molto, definire la punizione negativa come l’altro lato della medaglia del rinforzo positivo. Nella immaginaria medaglia da un lato c’è il rinforzo positivo e dall’altro la punizione negativa.

Un esempio chiarisce il punto:

  • Per aiutare il cane a prendere consapevolezza del suo corpo e dei suoi movimenti e non avere paura dei pavimenti di casa gli si mette un ostacolino su cui deve passare. Quando lo supera è premiato (con uno snackino o una carezza o un complimento) > rinforzo positivo; quando si presenta avvendo aggirato l’ostacolo non riceve nulla > punizione negativa. Sono sufficienti alcune ripetizioni perchè impari che gli si chiede di passare sopra e non accanto all’ostacolo.

La punizione positiva

La punizione positiva nonostante il nome ha una connotazione negativa: consiste nel far vivere al cane una esperienza spiacevole e dolorosa quando fa qualcosa che non piace (ad esempio ringhia ad un altro cane e lo si sgrida; tira al guinizaglio e lo si strattona; è cucciolo e fa la pipì in casa e lo si picchia con il giornale; quando mangia non è contento se qualcuno si avvicina per cui gli si tira via la ciotola della pappa oppure lo si rovescia per terra).

La caratteristica che definisce la punizione negativa è il suo essere violenta ed essere usata per infliggere dolore al cane.

La punizione negativa funziona

La punizione porta risultati?

Si ottengono risultati usando la punizione?

La punizione negativa da risultati: Il cane che non riceve qualcosa che aspetta dopo essersi comportato in un modo e la riceve dopo essersi comportato in un altro impara cosa ci si aspetta che faccia.

Il successo della punizione positiva è discutibile per diversi motivi. Tra i principali:

  • Serve usare qualcosa che fa molto male al cane o qualcosa che lo spaventa molto. Applicando qualcosa di tanto forte si può ottenere che non ripeta il comportamento ma al costo di portare il cane a vivere in uno stato di paura, stress ed ansia costante e in certi casi arrivare all’altro orrore che è l’impotenza appresa.
  • Usare uno stimolo avversivo per ridurre i comportamenti futuri è molto difficile.
  • La costanza e il timing dello stimolo avverso sono cruciali e se si vuole che il comportamento su cui si sta intervenendo non si ripeta anche in assenza dell’umano serve che lo stimolo avverso sia dissociato dall’umano, che la punizione sia inflitta quando il cane ha il comportamento anche se l’umano non è presente e non è per nulla facile.

In poche parole, perchè la punizione positiva possa essere efficace si devono usare livelli di violenza e di forza veramente alti e i danni al cane e alla relazione umano-canina sono tanto gravi da essere spesso irrecuperabili per cui il suo uso oltre ad essere moralmente ed eticamente ripugnante è sostanzialmente inutile.

Ad es. è molto probabile che il cane strozzato smetta di tirare al guinzaglio nell’immediato ma lo rifaccia alla prima occasione perchè strozzandolo si è solo interrotto il comportamento, la ragione per cui lo mette in atto non è stata affrontata nè risolta e non è stato insegnato al cane come deve camminare per cui il vero problema è ancora lì e si ripresenterà (e ci sarà una escalation di strattonate, urla, strozzamenti che soddisfano l’umano, fanno male al cane e danneggiano la relazione umano-canina e continuano a non risolvere il problema del cane che tira al guinzaglio).

Visto però che è indubbio che i cani devono essere educati e che ci sono alcuni loro comportamenti che hanno bisogno di essere reindirizzati e corretti, come ci si deve orientare?

Come educare il cane e correggerne i comportamenti?

I cani tendono a ripetere i comportamenti che hanno portato qualcosa che hanno considerato apprezzabile (apprezzabile per loro, non quello che gli umani pensano apprezzabile) e si usa quindi diffusamente strutturare l’educazione e/o la correzione dei comportamenti sul premiare (= rinforzare) con il cibo.

Il cibo non è necessariamente lo strumento migliore ma comunicare al cane, in termini positivi, che la scelta che ha fatto è apprezzata è la strada da percorrere.

Con Sara de Cristofaro, educatore cinofilo e autrice del best-seller Senti chi Abbaia

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Lauretana

La mamma umana di Oban, autrice di Senti chi Abbaia, ama la montagna, leggere e scrivere, ha un debole per la mozzarella. Pensa che i cani siano creature straordinarie e la vita con loro un'esperienza oltre l'immaginabile che, incredibile ma vero, si scopre nella sua straordinarietà ogni giorno, anche dopo tanti anni con il cane.

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